Dopo Cagli, quattro temi per la pipa italiana

Non parlerò “di” Cagli ma della pipa italiana “dopo” Cagli. Sulla manifestazione pesarese si sono già espresse varie voci e non credo abbia molto senso dilungarsi se non per dire che l’evento, forse troppo carico di attese, non ha dato risposte corrispondenti.

Andiamo allora subito al dunque. Penso siano almeno quattro i temi su cui occorre una riflessione per quanto riguarda il futuro della pipa italiana e le manifestazioni che, come Cagli, le ruotano attorno; l’identità, la visibilità, la Cina, il rapporto tra hobby e professione.

Prima di tutto, dunque, l’identità. La pipa italiana, a qualunque latitudine nasca, ha origini profonde, un background culturale e sociale, un mix di tradizione e innovazione e, vorrei aggiungere, spesso straordinari risvolti di storia economica.

Le interviste di Fumodipipa nascono per presentare i pipemaker ma anche, direi soprattutto, per raccogliere le storie di luoghi, generazioni, vissuti che, volontariamente o involontariamente, convergono nell’oggetto pipa. Sotto questa luce, oserei dire, le pipe diventano davvero più belle e preziose aldilà del loro aspetto, della qualità della materia prima, dell’abilità o della creatività dell’artigiano.

Continuo a rimanere perplesso davanti a processi che questa identità tendono a cancellare, fosse solo per incuria. Si tratta di un patrimonio genetico che andrebbe valorizzato, interpretandolo non come un vincolo ma come una risorsa.

E’ stata una grande sorpresa, in questi mesi, scoprire che non esiste un testo sulla nascita della pipa nel varesotto con le epopee della Fratelli Lana o della Fratelli Rossi, aziende che hanno fortemente caratterizzato la vita di un territorio, che hanno dato lavoro a migliaia di persone, che hanno portato anche innovazioni sociali significative, da cui discendono marchi oggi di prestigio mondiale.

Mi hanno raccontato di quando a Jean Marie Alberto Paronelli fu chiesto di cancellare la scritta relativa alle pipe sul muro del laboratorio e ho potuto verificare di persona che Gavirate, che ha ospitato e ospita aziende conosciute a livello mondiale, si vanta di essere la “città dei brutti e buoni”. Difficile che qualcuno arrivi dall’America per provarli, come invece accade quotidianamente per le pipe.

Ed è stata una grande sorpresa anche scoprire che non esiste un testo sulla nascita della “scuola pesarese” della pipa, sulla figura di Giancarlo Guidi da cui oggi, piaccia o non piaccia, deriva tutto quello che si muove nella provincia marchigiana.

Ma se è vero che Guidi andò a vedere da Igino Moretti, a Recanati, come si facevano le pipe, bisognerebbe allora anche riscoprire la storia di Adriano Anselmi e Alcide Duranti, pionieri della produzione di pipe nell’anconetano a cavallo tra fine ‘800 e primi del ‘900 e padri della famosa “Non canta la raganella”.

Ma perché non esiste nemmeno un volume sull’industria della radica in Calabria che ha visto un passato straordinariamente significativo, anche dal punto di vista occupazionale, in zone che oggi sono addirittura a rischio spopolamento?

E perché non si racconta la storia di fine ‘800 dei Fratelli Parenti a Firenze, di Febo Macchi a Milano nei primi del ‘900, della fabbrica Erica di Roma, di Francesco Ferro a Savona o di Pietro Diapede a Torino attivo dal 1860? Potrei continuare con altre storie in altre zone del Paese.

L’identità è un valore e, permettetemi la brutalità, anche una potente leva di marketing. Se intanto si partisse con il riscoprire le radici sicuramente si farebbe un gran bene all’albero tutto.

E caschiamo così a piedi pari dentro al tema della visibilità. La natura ormai esclusivamente artigianale della pipa italiana sembra avere come caratteristica la negazione della comunicazione: siti web disattivati o malfunzionanti, immagini dei prodotti non aggiornate o realizzate alla bella e meglio, disinteresse per gli appuntamenti di settore, mancanza di informazioni sulla produzione o sulle novità ecc.

Le frasi che più spesso mi sento ripetere sono “Faccio le pipe, non ho tempo per queste cose”, “Non ne ho bisogno. Non faccio in tempo a produrle che le vendo”, “Queste sono cose per i grandi marchi”. Alcuni produttori di pipa italiana presenti a Cagli me l’hanno ripetuto in tutte le salse, qualcuno per non mandarmi a quel paese mi ha detto anche un bonario “sì, hai ragione ma….”.

Il discorso sul valore della comunicazione in questo settore sarebbe davvero lungo e il successo del sito fumodipipa.it la dice lunga su cosa chiedano i compratori ed i fumatori di pipa nel mondo. Che marchi di qualità non abbiano nemmeno un sito web, che non abbiano acquistato i domini internet ad essi riconducibili, che non svolgano nessuna attività comunicativa è davvero sorprendente (e preoccupante). Credo che nessuno chieda direttamente ai produttori di farlo, così come nessuno chiede loro di essere fiscalisti: ma la contabilità devono pur tenerla.

Quello che però qui vorrei sottolineare è la necessità di un momento di visibilità della pipa italiana: che sia una fiera, una festa, una esposizione, un evento o un meeting poco importa. E’ però fondamentale che, Cagli o non Cagli, si crei un evento dedicato alla produzione della pipa italiana, rivolto agli interessati a vario titolo (dall’operatore di settore al fumatore).

Non un evento per le famiglie, non un appuntamento mondano, non una cena tipica, non una gara di lentofumo, tutte cose che, comunque la si pensi, sono “altro”: solo un momento di visibilità per la pipa italiana, per i produttori, per gli operatori, per i fumatori. Stop. E’ davvero così difficile? Non è forse diventato necessario e urgente?

Dopo Cagli qualche appassionato della pipa italiana ha acceso, anche con veemenza, il dibattito sulla Cina. Oggi il mercato cinese rappresenta il principale canale di vendita per molti produttori piccoli e grandi.

Ora è diventato però anche un mercato vorace di radica di qualità italiana: era già poca per mancanza di attività di estrazione e lavorazione, ora in Italia rischia di diventare rara e costosa.

Fino a quando durerà la moda cinese della pipa? Fino a quando la pipa italiana sarà considerata un oggetto esclusivo, da esporre e di cui vantarsi? Come sta crescendo la produzione di qualità Made in China grazie all’accurato lavoro di copiatura della modellistica ed alla disponibilità della migliore materia prima?

A Cagli si è visto qualcosa del nuovo volto orientale, seppur in sordina tra i banchetti della pipa italiana: oltre a qualche cinese acquirente anche un cinese produttore. E quelle pipe, messe quasi per caso sul tavolo, accanto a cose inguardabili, hanno portato alla luce un futuro che non dovrebbe far sorridere o sghignazzare: modelli moderni e ben eseguiti su radiche fiammatissime, a prezzi ridicoli. La Cina è vicina.

Certo, manca quell’identità con cui ho aperto questa riflessione. Una identità che forse qualcuno potrà trovare infumabile ma che ancora oggi caratterizza l’italian style in tanti campi della produzione industriale e artigianale. Ecco perché vale la pena riscoprirla, conservarla, valorizzarla e comunicarla.

La longevità del mercato cinese non è programmabile: certo, la vastità della popolazione induce a pensare ad un serbatoio inesauribile di clienti. Ma tutti sanno che non è così: la pipa italiana è un oggetto di lusso (anche per via dei notevoli ricarichi dei mediatori), voluttuario, legato alla moda e anche agli equilibri politici globali. Lo sanno bene i produttori che lavoravano a pieno ritmo (e direttamente) con la Russia solo un paio di anni fa.

Inoltre la Cina sta creando una risposta interna a questo fabbisogno. Ed è, come in tutti i settori produttivi, una risposta che soddisfa ogni tipologia di esigenze, comprese quelle più alte. Addirittura i dazi doganali sulla materia prima sono ben più bassi di quelli del prodotto finito e dunque realizzare in loco conviene due volte.

Resta, non da ultima, qualche perplessità sulle modalità di acquisto delle pipe italiane da parte di mediatori e importatori cinesi: dimezzare i prezzi facendo frusciare le banconote fa storcere il naso a più di un pipemaker.

Resta da ultimo un tema spinoso: il rapporto tra produttori professionali e hobbisti. Sgombro subito il campo da questioni relative alla concorrenza, anche in relazione agli aspetti normativi e fiscali: le implicazioni sono evidenti e, qui come altrove, i fenomeni vanno letti cum grano salis in funzione della produzione reale di esemplari.

Ma dal punto di vista del fumatore non è certo questo il problema. Dietro una bella pipa c’è la perizia, non la partita iva. Poi, come ho già avuto modo di affermare, per me dietro una bella pipa c’è anche una esperienza, una storia, una identità, un pensiero… Non mi stancherò mai di ripeterlo.

Ci possono essere hobbisti che fanno capolavori e professionisti che realizzano mostruosità. Ci possono essere hobbisti con una esperienza decennale e titolari di partita iva che si sono improvvisati pipemaker ieri mattina.

Anche questo mondo è bello perché è vario. Basta però che non sia avariato: esistono marchi molto curati dal punto di vista della comunicazione che non solo nascondono hobbisti ma, talvolta, hobbisti che si fanno produrre da altri hobbisti o, incredibile a dirsi, anche da professionisti. Il mostro può avere sette teste.

Detto questo resta il grande problema di una commistione nella visibilità che non aiuta. Ne sanno qualcosa, per non restare solo alle cosette di casa nostra, le aziende partecipanti alla fiera di Chicago di quest’anno che hanno visto l’apertura indiscriminata all’hobbista.

E’ evidente che la convivenza nello stesso spazio e nella stessa situazione di chi produce come azienda (con relativi adempimenti burocratico-fiscali e costi) con chi produce per diletto (escluderei da questa analisi i produttori in nero, che non dovrebbero avere diritto di cittadinanza) può portare a qualche fraintendimento.

Ma è altrettanto evidente che bisogna dar spazio a nuove leve che vogliono cimentarsi nell’arte della pipa senza impegnarsi in una attività lavorativa che, oggi come oggi, ha contorni piuttosto incerti. Abbiamo visto in questi ultimi anni che alcuni hobbisti hanno deciso di dedicarsi alla produzione in maniera stabile e continuativa, aprendo una ditta e investendo tempo e risorse: l’area dell’hobby, in questo senso, può dunque rappresentare un’ottima palestra.

In definitiva, già il solo evitare la commistione indiscriminata tra gli uni e gli altri risolverebbe alcuni problemi.

Ho provato ad esaminare quattro punti. Probabilmente ce ne saranno altri quaranta in ballo. Non ho le risposte per gran parte di questi, così come non ne ho per la festa della pipa di Cagli 2024, se ci sarà, o per quello che il futuro riserverà alla pipa italiana.

Ho però chiaro che i pipemaker devono realizzare le pipe, i fumatori devono fumare, gli organizzatori devono organizzare, i comunicatori devono comunicare, i venditori devono vendere: non sembrerebbe poi difficile. Il collante di attività così diverse è nella capacità di vedere quello che è realmente e nella voglia di intravedere quello che potrebbe essere.

Tutti insieme, però, perché, come è noto, nessuno si salva da solo.

Lanfranco Norcini Pala

Direttore Fumodipipa.it