Il libro delle pipe di Buzzati e Ramazzotti: una magia

Enciclopedica conoscenza della pipa, scrittura volutamente ottocentesca, straordinaria capacità ironica: sono questi i tre elementi principali dell’incredibile volume “Il libro delle pipe” scritto a quattro mani tra il 1934 ed il 1935 dal noto scrittore Dino Buzzati con il poliedrico cognato Eppe Ramazzotti.

Dino Buzzati
Eppe Ramazzotti

Pubblicato nel 1946 in una prima edizione dalla Editrice Antonioli di Milano in sole 325 copie numerate, il libro fu poi riproposto dall’editore Martello nel 1966 in una bella edizione (quella da cui sono tratte le immagini che vi proponiamo) e da Giunti nel 1986 in una veste molto più economica e fredda.

Buzzati e Ramazzotti si divertirono molto a scrivere questo libro. Fumavano nelle loro pipe il trinciato fine e bevevano grappa, rincorrendo la fantasia dietro pensieri strambi, creando storie surreali e infarcendo l’elaborato di vocaboli antiquati pescati in un vocabolario Rigutini del 1883.

E’ così che nasce la figura di un sofisticato dandy di fine ottocento, narratore di cronache favolose e di avvenimenti straordinari, tanto ben curati da sembrare veri, tanto divertenti e talvolta grotteschi da sembrare dissacranti nei confronti dell’oggetto da fumo.

Pipe in schiuma sopravanzano quelle in radica, spesso descritte nelle forme e nelle decorazioni, con elenchi che sembrano “scientifici” ma celano sottili divagazioni sul tema. E subito la narrazione riprende il volo con le “pipe parlanti di Edimburgo”, la “pipa a rotelle dell’ammiraglio Nicolò Fardi di Grivodena” o le “pipe fantasime” su cui gli autori si dilettano con una esilarante teoria legata alle “pipe suicide”: esemplari maltrattati dai proprietari che decidono di farla finita.

Figure di collezionisti prestigiosi e misteriosi, fumatori incalliti, ladri e colonelli impazziti si alternano in città innominabili, borghi nebbiosi, straordinari sodalizi come il “Circolo di fumatori Giuditta e Oloferne”, apparendo e sparendo d’un tratto nelle righe e nella nostra immaginazione.

Menzione a parte meritano le illustrazioni che, in verità, sono narrazione nella narrazione: se pur talvolta rappresentano corredo del testo, più spesso viaggiano per loro conto. Furono realizzate personalmente dagli autori ben dopo il testo, nel 1944 a Pallanza mentre erano sfollati durante la guerra. Non a caso tra le citazioni compare “quel villan rifatto che dimora a Persiceto e non nominiamo” dove Persiceto andò, visti i tempi, a sostituire Predappio.

Tutti i capolettera di ogni capitolo e gli sfondi sono di Buzzati mentre i disegni delle pipe escono dalla mano di Ramazzotti e dalla sua notevole conoscenza dell’oggetto. In verità, come amava ricordare lo stesso Ramazzotti, Dino metteva le mani anche sulle illustrazioni delle pipe tanto da rendere alla fine indistinguibile una paternità univoca dell’opera.

Ecco dunque la “pipa scientifica prussiana”, “obbrobrioso meccanismo” che produce una fumata fredda per cui “chi usa la Pipa, anziché fumare, si illude di farlo, aspirando aria pura; come sulle vette de’ monti”.

Ed ecco svelata la “pipa dell’Innominato” trovata “nelle tasche di uno sconosciuto morto sulla statale di Vigevano per asfissia”.

Accanto alla raffigurazione dei modelli classici di radica, con qualche chiosa sugli utilizzi, si aprono pagine straordinarie con l’immagine di Fra Eliodoro Cropopulos intento a scacciare “fantasime di Pipe” dalla sua cella;

del campanaro Arrigo Gardeni invidioso del collega Flavio Bentani, quest’ultimo capace di dense volute di fumo grazie alla mescola di tabacco e incenso;

della già citata “pipa a rotelle” dell’ammiraglio Nicolò Fardi di Grivodena e della sua ricorrente frase balbuziente: “Trop… trop… trop… troppe donne sode!”.

E ancora la spassosa immagine della “pipa suicida”, raffigurata come fu ritrovata in casa di don Gesualdo Caracchi, “forse suicida per onta delle proprie nudità nella dimora di un Prelato?”.

“La bella Maria” compare d’un tratto e “sempre ci incanta un poco: abbia la Pipa in bocca spenta oppure v’abbia dato fuoco”.

Citiamo, infine, l’illustrazione della “pipa di pellirosse”, con il “Gatto Mammone all’orciuolo ove esso forse crede celinsi interiora di pollo”.

Il libro si chiude con una illustrazione malinconica ed una altrettanto malinconica poesia: “Fuma il cocchiere sulla lunga Pipa. Saluta dal calesse Maddalena. Il vento incurva l’erbe sulla ripa. Tra poco, sera. Poi la notte piena.”.

A scorrere le pagine de “Il libro delle pipe” viene da vederli, questi due giovani impenitenti e geniali (Buzzati aveva 28 anni, Ramazzotti 35), di sera, nella bella casa milanese di Eppe davanti al Castello Sforzesco, dove, come dice quest’ultimo, “ci divertivamo talmente tanto alle storie che trascuravamo di scrivere”.

Viene da vederli immersi in nuvole di fumo, divertiti e complici, capaci di comporre quasi per gioco (o, forse, proprio per gioco!) qualcosa di davvero straordinario e unico di cui noi oggi godiamo.

M’è venuto, alla fine delle pagine, di recarmi alla vetrina delle mie pipe e fare una raccomandazione: “Se avete un problema su come vi tratto parliamone, ma per piacere non suicidatevi!”.